Impatriati in smart-working e datore di lavoro estero
Secondo l’Agenzia delle Entrate, con la risposta all’interpello n. 55 del 31 gennaio 2022, il contribuente avrà la possibilità di beneficiare del regime per lavoratori impatriati anche per i redditi di lavoro dipendente in Italia e in smart working.
Non è necessario che l’attività sia svolta per un’impresa che opera sul territorio del medesimo stato. Quindi, anche i soggetti che svolgono attività di lavoro in Italia alle dipendenze di un datore di lavoro con sede estera, o che presenta committenti stranieri, possono accedere a tale agevolazione.
Il decreto internazionalizzazione ha introdotto il regime speciale per lavoratori impatriati. La disposizione è stata oggetto di modifiche normative, operate dall’articolo 5 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (decreto crescita), in vigore dal 1° maggio 2019.
Per poter usufruire di tale trattamento, come modificato dal decreto crescita, è necessario, secondo il comma 1, che il lavoratore:
- trasferisca la residenza nel territorio del medesimo Stato secondo l’articolo 2 del TUIR;
- non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta dopo il trasferimento;
- si impegni a risiedere in Italia per un periodo minimo di 2 anni;
- svolga l’attività lavorativa in prevalenza nel territorio italiano.
Secondo il successivo comma 2 sono destinatari del beneficio fiscale in esame, inoltre, i cittadini che fanno parte dell’UE e non con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale che:
- sono in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto in modo continuativo un’attività di lavoro in maniera dipendente al di fuori dell’Italia negli ultimi due anni o più.
Tale agevolazione è fruibile dai contribuenti, a decorrere dal periodo di imposta in cui è necessario trasferire la residenza fiscale in Italia, per un quinquennio e per i quattro periodi d’imposta successivi.
Per accedere al regime speciale, l’articolo 16 vuole che il soggetto non sia stato residente in Italia per due periodi d’imposta precedenti al rientro.
Secondo le modifiche normative che hanno ridisegnato l’applicazione del regime agevolativo a partire dal periodo d’imposta 2019, così da accedere all’agevolazione e all’ulteriore quinquennio. Secondo le modifiche normative concernenti il requisito dell’iscrizione all’anagrafe degli Italiani residenti all’estero (c.d. AIRE) per usufruire dell’agevolazione fiscale in esame sono stati emessi chiarimenti grazie alla circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020.
Con l’articolo 16, comma 3-bis del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, come inserito dall’articolo 5, comma 1, lettera c, (decreto Crescita), il legislatore ha emesso un’estensione temporale del beneficio fiscale di ulteriori cinque periodi d’imposta, con tassazione del 50 per cento del reddito imponibile, in presenza di specifici requisiti, in alternativa, come:
- avere almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo;
- l’acquisto di un’unità immobiliare residenziale in Italia (dopo il trasferimento e nei dodici mesi precedenti ad esso) da parte del lavoratore, del coniuge, del convivente o dei figli, anche in comproprietà
Con specifico riferimento al datore di lavoro non residente, al paragrafo 7.5 della circolare n. 33/E del 2020 viene precisato che l’articolo 16, come modificato dall’articolo 5, comma 1, del decreto legge n. 34 del 2019, non impone che l’attività sia svolta per un’impresa operante sul territorio dello Stato per cui possono accedere all’agevolazione i soggetti che svolgono in Italia attività di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro con sede estera, i cui committenti siano stranieri.
Perciò se risultano soddisfatti tutti i requisiti richiesti dalla norma, il contribuente avrà la possibilità di beneficiare dell’agevolazione per gli impatriati, del decreto legislativo n.147 del 2015 per i redditi di lavoro dipendente prodotti in Italia in smart working, a condizione però, che trasferisca la residenza fiscale in Italia.
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